Intervista a Max Collini (Offlaga Disco Pax)

Teatro Monteverdi (Cremona), mercoledì 1 febbraio 2006

Ciao.
Ciao.
Come avete fatto a mettervi in risalto relativamente prestissimo, in Italia, pur con l’enorme svantaggio di fare musica di qualità?
La visibilità che il gruppo ha ottenuto è dipesa da alcuni fattori: il fattore “c”, cioè il culo; il fatto che, grazie a una serie di circostanze, il gruppo ha potuto da subito suonare fuori da Reggio Emilia; Internet, perché un paio dei nostri primi concerti sono stati registrati da qualcuno e messi in rete, e questo ha favorito il passaparola; la vittoria al concorso Rock Contest in Toscana, che ci ha permesso di cominciare ad avere un po’ di risalto a livello nazionale. Qualche giornalista specializzato ha cominciato a parlare del gruppo, da lì è nata la possibilità di fare il disco… È successo tutto molto in fretta. Infine, il fatto che abbiamo scoperto che il gruppo aveva un’identità più forte di quanto potessimo immaginare.
Mi parli un po’ del tuo passato, prima degli Offlaga Disco Pax?
Prima del gruppo ero un semplice spettatore di concerti, di musica indipendente italiana e internazionale, non avevo alcun tipo di esperienza musicale. Io nasco come “scrittore”, ho iniziato a scrivere racconti nel 2000, molto tardi, oltre i trent’anni, e ne ho spediti alcuni a Enrico e Daniele (eravamo già amici). Un giorno a Enrico è scattata la molla di provare a utilizzare i racconti unendoli alla musica, ed è nato tutto. Sono un esordiente tardivo.
Perché voi, che siete un terzetto reggiano, vi chiamate come un paese della provincia di Brescia?
Intorno al 2000 o 2001 sono andato a vedere un concerto al Buddha di Orzinuovi, in provincia di Brescia. Era una notte buia e tempestosa, ero da solo in macchina, erano le dieci di sera, tutto era spento, pioveva fortissimo. A un certo punto un lampo illumina un cartello: Offlaga. Io ho pensato: «Ma no, non siamo in Bosnia, non può esistere un posto che si chiama Offlaga!». Poi ho controllato su Internet, e Offlaga esisteva. Il nome, il suono, mi aveva colpito molto. Tre anni dopo è nato il gruppo, e quando si è detto «Come ci chiamiamo?», la prima cosa che mi è venuta in mente è stata «Offlaga!». È stato un istinto naturale. Enrico e Daniele propendevano per Disco Pax, e abbiamo fatto un compromesso. «Tanto chi se ne frega, faremo tre concerti!», pensavamo. Ora ci sono affezionato, mi piace.
A parte il blog e il disco, c’è altro materiale numerato che non siano le locandine?
Il catalogatore è Enrico, che è il grafico del gruppo. Oltre alle cose che hai citato, abbiamo numerato anche la cassaforte in miniatura che usiamo come cassa nei concerti, è numerato il Doblò con cui andiamo in giro… Un concerto era venuto talmente bello che l’abbiamo numerato. Quindi anche cose immateriali.
Come spaccate. Qual è il rapporto tra musica e politica nella vostra produzione?
Bellissima domanda, è importante. La politica presente nei testi che io scrivo è un elemento di sottofondo, un panorama su cui si inseriscono gli eventi personali, privati che racconto. La politica ha caratterizzato moltissimo la mia adolescenza: sono stato un militante del Partito Comunista, nella Federazione Giovani Comunisti Italiani, per tre o quattro anni, in modo molto forte, coinvolgente, totalizzante. È stata un’esperienza formativa fondamentale. Non sono più un militante da quando il P.C.I. si è sciolto. Quel tipo di imprinting è stato fortissimo su di me. È inevitabile che nelle storie della mia adolescenza che racconto ci sia quel sottofondo. Però noi non siamo la classica combat band, tutto è filtrato attraverso esperienze personali. Non facciamo proclami, non è questo il nostro approccio. Il mio tentativo, quando scrivo, è quello di essere meno retorico e meno scontato possibile. La visione che ho della politica è legata a quella politica, che non esiste più. Non mi verrebbe da scrivere della politica di oggi. La seguo privatamente e basta.
Cosa significa essere neosensibilisti e contrari alla democrazia nei sentimenti?
La democrazia nei sentimenti non funziona. La democrazia riguarda il 50% + 1, ma in un rapporto sentimentale il 50% + 1 è un meraviglioso 100%, per cui le due cose cozzano. È anche un gioco di parole. La parola “democrazia”, è abusata, stra-abusata, fino a perdere di significato. Viene spesso utilizzata a sproposito. La democrazia non deve entrare nei sentimenti, i sentimenti in realtà sono dittature. Ma c’è appunto anche il gioco di essere contro la democrazia perché oggi sono tutti democratici, e allora mi piace l’idea di dire: «Ma che du’ maròn!». Esiste poi un movimento neosensibilista, che ho contribuito a fondare, la parola mi piace molto. Abbiamo un brano, che forse sarà sul prossimo disco, in cui tenteremo di spiegare il senso di “neosensibilismo”.
Si vocifera che tu abbia già una quarantina di racconti nuovi nel cassetto.
Ho del materiale, scritto anche dopo la nascita del gruppo. Quando scrivo, comunque, non penso al gruppo. Scrivo le mie storie, poi se il gruppo lo ritiene opportuno, si valuta se lavorarci su. In ogni caso ho bisogno di tempo, è difficilissimo che una cosa che scrivo oggi venga utilizzata domani come testo del gruppo. Mi deve piacere a distanza: magari cose che pensavo dubbie, un anno dopo mi piacciono; cose che pensavo forti, un anno dopo mi fanno cagare. Il racconto magari nasce in mezza giornata, ma viene valutato nel tempo.
I racconti che diventano canzoni degli Offlaga Disco Pax rimangono tali e quali a come li avevi concepiti?
No, il lavoro in sala prove è importante per limare il testo, che di solito è troppo lungo per essere utilizzato come testo del gruppo. Solo con la musica mi rendo conto di ciò che devo tagliare. Di solito è solo un lavoro di sottrazione, non cambio le frasi. Sfrondo, rendo il testo più sintetico ed efficace. Oggi i testi del gruppo mi piacciono molto di più della loro stesura originale. Il progetto è comunque un tentativo di integrazione tra musica e testo: credo ci sia una compenetrazione fortissima tra i due fattori. Io vivo il gruppo come un progetto musicale, non letterario. Credo che la scelta della parola invece del cantato sia una scelta molto forte, estrema.
Parlando con chi ha un minimo di attenzione alle uscite musicali, spesso saltano fuori frammenti di vostri testi. Ti assicuro che «Suo figlio, signora, ha la faccia come il culo» [da Kappler] sta diventando quasi un tormentone.
Questa è una delle cose più sorprendenti. Io non mi aspettavo che questo mio modo di scrivere, di interpretare, di parlare, trovasse questa identificazione in chi ci ascolta. È sorprendente, è più di quanto fosse lecito aspettarsi.
In futuro prenderai in considerazione l’ipotesi del cantato tradizionale?
Esiste un problema tecnico. Io non so cantare, sono stonato come una campana, e non mi pongo il problema di imparare. Credo che se ci sarà un lavoro sulla voce che non sia parlato o recitativo, sarà delegato, chiederemo a qualcuno. Magari una voce diversa, femminile, non so ipotizzare nulla di preciso.
Vorrei che tu mi dessi una delle tue creative definizioni per inquadrare la forma di governo attualmente vigente in Italia.
No, non spendo una parola sulla cosa. Non contribuisco in alcun modo ad aumentare il contorno a quella roba. Poi è chiaro, il 9 di aprile andrò a dare una mano anch’io.
Ovvio, in funzione antiberlusconiana si fa tutto. Ma un giorno in Italia ci sarà una rivoluzione?
Non credo proprio.
Dovesse esserci, di che stampo sarebbe?
Neoborghese.
Grande. Senti, il videoclip di Robespierre è splendido e si sposa perfettamente con il clima della canzone. Di chi è l’idea?
L’idea iniziale è di Enrico, che ha mille interessi oltre alla musica e che oltre a essere il grafico si occupa anche dell’immagine del gruppo. Poi è stata girata a Postodellefragole. Dall’idea iniziale, con noi che suoniamo in questa specie di Discoring [trasmissione televisiva degli anni ’80], si è aggiunta la sceneggiatura, basata sul testo della canzone. Siamo molto contenti del risultato finale. Il video ha anche vinto due premi importanti.
Evito di chiederti delle solite influenze musicali che vi vengono attribuite. Che cosa di non musicale influenza la vostra produzione? Ti chiedo di andare oltre ai riferimenti letterari e politici, la cui importanza è evidente.
Credo che la maggiore influenza su di me sia rappresentata dalla mia interiorità. Mi sento molto romantico, cerco di mantenere sempre un po’ di innocenza, tipica dei bambini, in tutto quello che faccio.
Il mio gruppo preferito sono da sempre i Julie’s Haircut [non è vero, ma il loro cantante viene badilato da Max nel testo di Tono Metallico Standard, quindi faccio questa domanda per il puro gusto di stuzzicarlo]. Cosa ne pensi?
[scoppia a ridere] È una figata assoluta! In realtà quella canzone voleva solo esprimere la mia invidia nei confronti di questa persona. Alla fine ’sto povero Cristo mi aveva solo risposto un po’ male! Ma la sua descrizione nel testo è talmente forte che non viene fuori tanto la mia invidia, quanto lui come personaggio! Ma non era mia intenzione!
Va bene… C’è un solo socialismo o ce ne sono tanti? E, se ce ne sono tanti, il tuo qual è?
Da quando si è sciolto il P.C.I. non mi pongo nemmeno più il problema… Credo che si tratti di un’utopia, che sia importantissimo continuare a portarla avanti, ma in me non c’è nessuna ambizione di poterla realizzare. Mi piace l’idea che si possa fare il socialismo in un quartiere, anziché in un intero Paese.
Stasera ci dobbiamo attendere qualcosa di diverso dal concerto standard degli Offlaga Disco Pax?
Ultimamente stiamo proponendo un paio di pezzi inediti, però i nostri concerti sono ormai abbastanza definiti. Questo sarà il novantesimo concerto di quest’anno, quindi la struttura è abbastanza compatta, non ci sono grandi cambiamenti. Abbiamo fatto un paio di concerti con una violoncellista amica di Enrico, e sono venuti molto bene. Non escludiamo di poter ripetere la cosa a breve. Comunque stiamo lavorando ai brani nuovi. Il disco è uscito da dieci mesi, ma non abbiamo intenzione di fermarci. Abbiamo qualche idea, vogliamo registrare qualcosa, forse faremo un altro video. Vediamo.
Perfetto. Grazie, ciao!
Ciao!

Carmine Caletti