Franz Ferdinand – Live @ Festival Acquedotte

Anno palindromo 2002: in quel di Glasgow, Scozia, si formano i Franz Ferdinand. Esplodono subito con l’album di debutto, omonimo, nel 2004. Passano tre lustri e accade che la band passi da Cremona, a forse duecento metri da casa mia, nella splendida cornice (come si suol dire, ma è vero) di Piazza del Comune, nell’ambito dell’ottimo Festival Acquedotte.
Guadagnata con agio la transenna, non ho che da attendere l’apparizione del (ora) quintetto sul palco, che si erge davanti al Battistero, con il Duomo alla nostra sinistra. Ed eccoli: Alex Kapranos, elegantissimo in abito nero, quarantasettenne per cui il tempo sembra non passare mai; Robert Hardy, il bassista di sempre, che suonerà quasi immobile per tutto il concerto; il chitarrista Dino Bardot, che da un paio d’anni è subentrato al fondatore Nick McCarthy; il tastierista e chitarrista Julian Corrie, che al contrario di Hardy si muove febbrile per il palco e fa da contraltare alla presenza scenica di Alex; e Mike Evans alla batteria, sostituto temporaneo del titolare infortunato Paul Thomson.
La serata, spazzata via una certa ansia legata alle previsioni meteo (che davano forti piogge e si riveleranno invece del tutto infondate), scivola liscia come l’olio sui binari della gioia e del divertimento, anche perché la setlist sembra fatta apposta per accontentare i fan non più giovani così come le nuove leve. Dopo l’apertura d’impatto con No You Girls, singolo che a me sembra recente ma che, dati alla mano, festeggia già dieci anni, la band gioca subito forte con The Dark Of The Matinee, da quel grande primo album, infila una Glimpse Of Love dall’ultimo lavoro del 2018, Always Ascending, e ci stende con la micidiale Do You Want To, dalla seconda fatica, del 2005, You Could Have It So Much Better. «Well here we are at the transmission party / I love your friends, they’re all so arty, oh yeah», canta Alex, mentre Piazza del Comune gremita gli risponde con l’irresistibile coro. Il verso finale «Lucky, lucky, you’re so lucky», ripetuto ad libitum, genera un vero e proprio gioco col pubblico: si diverte chi è sul palco, si diverte chi è sotto, qualcuno viene ripreso dalla security (a parere di chi scrive, eccesso di zelo), Alex esorta dal palco: «Don’t stop the boys» e, alla prima occasione, nel manifestare il proprio rispetto per chi sta lavorando per la sicurezza di tutti, chiede però di permettere che le persone saltino, cantino, si scompongano ed entrino in contatto, lasciandosi andare al ritmo. La serata è fresca, la musica è calda, la gioia è palpabile: godiamocela.
Dopo la relativa calma di Walk Away, la cui dinamica rock tradizionale dà qualche minuto di tregua agli animi più danzerecci, e la doppietta formata da Right Action ed Evil Eye, tratte dal quarto album Right Thoughts, Right Words, Right Action, del 2013, arriva Lucid Dreams a riportarci al tipico sound franzferdinandiano: riff immediati, chitarre funkeggianti, accenti di batteria sul levare e l’inconfondibile voce di Alex, che negli anni potrebbe aver perso un po’ di potenza, ma senz’altro è identica per smalto, classe e timbro.
La bella Love Illumination lascia spazio a un nuovo tuffo nel passato, con un tris di primi dall’esordio di quindici anni fa: Darts Of Pleasure, Michael e soprattutto l’attesissima Take Me Out, il brano che ha fatto conoscere i Franz Ferdinand al 97% dei loro fan (e il restante 3% sono i fan che stanno mentendo). Tripudio!
È con la sintetica (nel senso del suono) Ulysses e i relativi cori che la band si congeda una prima volta, pronta però a rientrare quasi subito davanti alle pressanti richieste di bis da parte di una platea che, appare ovvio, non è ancora sazia. E allora rieccoli, i cinque scozzesi, mentre reimbracciano gli strumenti e si esibiscono in una breve Always Ascending per poi sancire in via definitiva la supremazia del loro primo album nelle scelte della scaletta (alla fine saranno sei, sui sedici totali, i pezzi che risalgono a quei tempi): la conclusione è affidata alle note di Jacqueline, con quell’ingannevole inizio da ballad che sfocia poi in un’epica cavalcata dalle chitarre nervose e dalla ritmica spezzata, e infine a quelle di This Fire, una delle canzoni più rappresentative delle sonorità della band britannica. «This fire is out of control / I’m going to burn this city, burn this city», canta Kapranos (ora in camicia), dando fondo alle energie residue e trovando la risposta entusiasta di una Cremona che, per nostra fortuna, continua a incendiarsi di rock, musica, luce e vita. Fine, dopo un’ora e un quarto di grande intensità, ai limiti della performance perfetta.
L’appuntamento con il Festival Acquedotte si rinnova lunedì prossimo, 15 luglio, quando sotto il Torrazzo avremo un nome leggendario del rock di ogni tempo: Jethro Tull.

Carmine Caletti