Lou Reed – Live @ Piazza Stradivari

Giovedì 12 luglio 2007 è, senza esagerazioni, una data consegnata alla storia di Cremona. In ambito rock, l’evento è probabilmente il maggiore che la città abbia mai vis(su)to: in Piazza Stradivari, una platea di circa duemila persone ha assistito al concerto del leggendario Lou Reed, che ha riproposto per intero il suo celebre album Berlin.
Nel pomeriggio, durante il sound check, il sessantacinquenne rocker newyorkese scherza con i bambini del New London Childrens Choir, coro di voci bianche che lo accompagna per tutto il tour di Berlin, e ride con gli amici musicisti. Specificare tutto ciò può sembrare superfluo, ma i racconti di chi lo conosce direttamente confermano che le performance di Reed dipendono in larghissima misura dall’umore dell’artista.
In serata, un intero blocco di spettatori (posti laterali in piedi) scopre di essere stato “declassato” in fondo alla platea (posti frontali in piedi). Per ragioni di sicurezza non è possibile stazionare ai lati, ostruendo eventuali uscite. Ci si poteva pensare prima, evitando di far pagare di più a persone che hanno poi visto il concerto come altri che hanno pagato meno. Fine della polemica.
Lo spettacolo si apre con una proiezione sul grande telo bianco che ancora cela il palco: per circa venti minuti scorrono immagini marine di onde che si infrangono contro gli scogli. Al di là del possibile richiamo alla figura del «Water Boy» citato nella canzone The Kids, non vedo quale significativo legame questo video possa avere con Berlin. Francamente evitabile.
Poco dopo le dieci, però, l’emozione è grande quando Lou Reed appare sull’affollatissimo palco: alle spalle, sulla sua destra, ha il già citato coro di voci bianche; dall’altro lato, la sezione archi e fiati. E naturalmente c’è la sua band: il chitarrista storico Steve Hunter, il bassista Fernando Saunders, molto amato dal pubblico, Tony “Thunder” Smith alla batteria, Rob Wasserman al contrabbasso e Rupert Christie alle tastiere; in aggiunta per queste date, c’è anche la bravissima cantante Sharon Jones, in uno sgargiante abito rosso fuoco. La scenografia a fondo palco è composta da tendaggi con disegni e motivi floreali che ricordano la carta da parati; un divano (!) penzola verticale davanti a essi, sulla sinistra per gli spettatori, mentre al centro è appeso uno stendardo rosso.
Dopo un cenno di saluto, si parte con la musica. È il coro ad aprire l’esecuzione del disco, con gli auguri di buon compleanno indirizzati a Caroline, protagonista femminile del concept album. Intanto, direttamente sulla scenografia, appaiono sporche immagini di un secondo video, che per l’intera durata del concerto sarà incentrato sul disperato personaggio della giovane più che sul protagonista maschile, l’amato Jim. Lou Reed, calmo e concentrato, canta con l’inconfondibile voce tossica e profonda, e si limita alla chitarra ritmica, discontinua ma efficace all’occorrenza (pur con qualche problema tecnico all’inizio del concerto). I brani sono strutturalmente abbastanza simili al disco originale, ma questi riarrangiamenti dal vivo, davvero ben fatti, frutto di un lavoro ragionato, sottolineano con enfasi determinati momenti, legati ai drammatici testi che raccontano di un amore impossibile, drogato e autodistruttivo, dall’epilogo inevitabilmente tragico. A livello melodico e armonico, dunque, niente da eccepire; ma anche lo stratagemma, oggettivamente “comodo”, consistente nell’allungamento di pressoché tutti i finali delle canzoni (in particolare degli ultimi due pezzi, The Bed e Sad Song), risulta a mio parere azzeccato, poiché fa aumentare il senso corale e monumentale dell’opera rock. Insomma, una storia in musica già in sé emozionante (per chi conosce il disco, certo, ma anche per chi non l’aveva mai ascoltato), resa ulteriormente appassionante sia sul piano sonoro sia su quello visivo. Il mio giudizio su questa messa in scena di Berlin sfiora l’entusiastico. I musicisti si riuniscono attorno a Lou Reed, salutano e lasciano il palco.
Quando il gruppo rientra per il bis e gli spettatori, in barba alla logica dei posti a sedere, si alzano tutti in piedi (alcuni, come me, raggiungono la transenna), comincia un diverso, breve ma intenso, concerto rock. Breve perché dura lo spazio di tre canzoni, ma intenso perché i tre classici che Reed estrae dal cilindro valgono una carriera. Prima, una Sweet Jane con qualche variazione, ma sostanzialmente fedele all’originale; a seguire, una Satellite Of Love completamente stravolta, in cui, all’ossatura di pianoforte tradizionale, si sostituisce un impianto molto più vario e avvolgente. La voce è inizialmente appannaggio di Fernando Saunders (Lou dirige i suoi vocalizzi e li fa ripetere al pubblico), poi di Sharon Jones e del coro, e solo successivamente del legittimo proprietario. In conclusione, una lunga e dolce Walk On The Wild Side, di cui non si vorrebbe dover sentire la fine, che invece arriva.
Ed è davvero la fine di un concerto meraviglioso, nella piccola Cremona, che per una notte, consentiteglielo, si traveste da grande città.

Carmine Caletti

Fotografie di Luca Muchetti