Jerry Lee Lewis – Live @ Summer Jamboree 2007

The Killer strikes again!
Venerdì 24 agosto 2007, in Piazza Garibaldi, a Senigallia, si è tenuto il maggior evento delle fin qui otto edizioni del super festival anni ’50 Summer Jamboree: la leggenda vivente del rock’n’roll Jerry Lee Lewis in concerto!
Il pubblico inizia ad accalcarsi sotto il palco immediatamente all’apertura dei cancelli. Le ore di attesa hanno come sottofondo la selezione rock’n’roll di DJ At Crazy Record’s Hop, attempato e simpatico dj proveniente dall’Olanda. La serata di musica dal vivo si apre poi con il quartetto texano dei giovani Two Timin’ Four, che propongono un rockabilly con sì un occhio alla tradizione, ma abbastanza vario rispetto ai canoni del genere. Godibili.
Alle dieci e mezza passate salgono sul palco i musicisti che da decenni accompagnano Jerry: Ken Lovelace e Butch Hutchinson alle chitarre, B.B. Cunningham al basso e Robert Hall alla batteria. I quattro, eleganti nelle loro tenute nere, assumono il ruolo di cantante per una canzone a testa, mentre lo sgabello del pianoforte rimane vuoto.
Finalmente, dopo questo poker di classici (tra cui Wooly Bully, cantata dal bassista), fa il suo ingresso in scena Jerry Lee Lewis! Il settantaduenne rocker della Louisiana si accomoda con calma al pianoforte, accompagnato da una pioggia di applausi. Spettatrice illustre, in un angolo a fondo palco, la regina del burlesque, Dita Von Teese, il cui piccante spettacolo è previsto per la sera successiva.
Last Man Standing, titolo del recente disco di Jerry, è una definizione autocelebrativa quanto appropriata: la camminata dell’ultimo uomo rimasto in piedi è faticosa, il fisico molto appesantito, ma i capelli, non più d’oro luccicante ma di nobile argento, hanno ancora quel ciuffetto dritto sulla fronte. Il look è del tutto casual: camicia e pantaloni ordinari.
The Killer ci colpisce subito con una spettacolare Roll Over Beethoven, cantata con foga anche dal pubblico. La tecnica al pianoforte rispecchia il logico corso vitale del musicista, dall’irruenza dei vent’anni alla consapevolezza di mezzo secolo dopo: i tasti non sono più percossi furiosamente, ma accarezzati: meno energia, più gusto. Apprezzabile la scelta di alternare rock’n’roll veloci a blues lenti. Il pubblico in adorazione acclama ogni assolo monoaccordo e ogni vertiginoso glissato, veri e propri marchi di fabbrica dell’ex pianista piromane. Le dita di Lewis si arrampicano rapidamente fino alle note più alte della tastiera e, giunte in cima, sembrano fermarsi solo perché non esistono tasti ancora più acuti verso cui avventurarsi. Altrettanto rapidamente, purtroppo, scivola via il concerto, di circa un’ora, che si accende sulle canzoni più famose, come Sweet Little Sixteen. Nel finale arrivano le pietre miliari che tutti attendono: Great Balls Of Fire è morbida, rallentata; Whole Lotta Shakin’ Going On conserva invece la sfrontatezza della versione originale, sia nell’esecuzione pianistica che nel cantato, con gli urletti isterici («Ooh!») e i profondi vibrati. All’interno della canzone Jerry presenta i suoi musicisti e, alla fine, si alza per prendere in pieno petto l’ovazione che il pubblico di Piazza Garibaldi gli tributa. Poi, con la stessa calma dell’ingresso, uno dei padri fondatori del rock’n’roll lascia il palco, sommerso dagli applausi. In molti chiedono un bis, che non arriverà: dalle casse esce già la musica del dj.
Jerry Lee Lewis è un anziano rocker, addolcito dal tempo, provato da una vita di eccessi, che non può e non deve subire il perenne confronto con il travolgente sé stesso degli albori. Ci ha regalato una serata emozionante, anche senza suonare in piedi o dare fuoco al pianoforte. Nei suoi occhi abbiamo intravisto la scintilla beffarda di chi ha vissuto l’intera storia di quella cosa folle e meravigliosa che chiamiamo rock’n’roll.

Carmine Caletti