Bho. Mi piace cominciare una recensione con “BHO”. desiderio di una vita, magico momento di ritrovo con la propria infanzia, col liceo… “BHO”! Venerdì sera, ore diciotto zero zero in attesa ora zulu apericena… Letto e riletto commenti sul disco ed è per questo, dato che il Mucchio dedica fin la copertina ai ragazzi di Prato definendo loro e la loro opera “l’art punk degli anni 10”, che ritiro fuori l’album e lo riascolto, deciso a buttar giù due righe in proposito. Letto e riletto mille commenti positivi anche da parte dei persone mooolto più quotate di me a dare dei giudizi ma, attenendomi pienamente alle direttive del mio professore d’arte contemporanea dell’università, od a quello che ho capito delle sue direttive in un grigio mattino milanese di dieci anni fa, mi sono imposto di “non ascoltare i critici”, ma di ascoltare “quello che l’opera ti trasmette”; e descriverlo. E descrivendolo ho deciso che il disco non si può sentire. Non puoi farti la barba, o la doccia, o startene a giocare al flight simulator e sentirlo.. no.. il disco va ascoltato.. è un disco che richiede attenzione. E ponendo la dovuta attenzione non puoi non riscontrare parti geniali, semplicemente geniali.. musicalmente parlando, professionalmente parlando per come è suonato, ricercato mixato registrato postmixato e composto è un superlavoro. bello. Non cambia la storia della musica, questo no. Non è il Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band della musica italiana ma è un lavoro ben fatto, incredibilmente ben fatto per essere praticamente il disco di esordio della band. In alcune parti capisci che potrebbe essere fin degno di fare da colonna sonora ad un film di Tim Burton. Fico no? Ma poi personalmente trovo delle cose eccessivamente … eccessive. Cose che si sciolgono in assonanze che a volte scivolano come sull’olio ma a volte dissonano.. La sperimentazione nel disco la libertà compositiva dichiarata e ricercata dai musicisti si sente e a volte pure troppo, figlia forse di una esagerata impronta snobbintellettuale che i Blue non nascondono mai mai mai mai come troppa parte della musica italiana che vuol allontanarsi dalla mainstreamed tradizione neomelodica del Belpaese … Ma da tutto questo ne esce comunque una dose non indifferente di perle, e quando la ricerca va a buon fine non aggrovigliandosi su se stessa mentre si guarda allo specchio si creano dei momenti di musica importanti, indimenticabili e che comunque ti fanno balenare immagini e ricordi, impressioni quasi tangibili e fiabesche, sottolineai da una voce femminile dolce e perversa, angelica e malefica allo stesso tempo, disegnata sulle corde vocali appunto per quelle belle favole nere di Tim Burton.
Ma sono un disincantato. Un “cag@ça##ononcollaborativo”. Non riesco a gridare al miracolo quasi mai, e quando conosco ad esempio una persona, devo frequentarla almeno un paio di volte per capire se la prima impressione – positiva o no – sia quella giusta o derivata semplicemente dall’euforia ovvero dal caso. Così mi comporto per un gruppo. Devo capire alla lunga che cosa questo gruppo possa aggiungere ad un panorama già drammaticamente sovraffollato: una comparsata fulminea da notarsi solo per l’entusiasmo dei produttori o davvero è lì per cominciare qualche cosa di nuovo oppure semplicemente sta battendo strade già battute ma con tutta la dignità del caso? I Blue Willa? bho.. si. Potrebbero essere una bella realtà. Sono una bella realtà. Il disco è un bel lavoro. Lo specchio di cui sopra da nascondere o da non guardare sì sovente. Aspetto nei prossimi anni per vedere. Ci sono tutti i margini di crescita, l’importante sarà mettere i piedi sulle rocce giuste e non scivolare su massi poco stabili. E se poi – appunto squisitamente personale – riuscissero a sfidare e vincere la lingua di Dante, allora forse si che “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band“ potrebbe vedere la luce, appunto “..perché qualcuno dovrebbe ascoltare un italiano che finge di essere di Manchester o New York?” …e non solo nelle sonorità.
J. Doom